La valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale è uno dei veicoli fondamentali per la promozione di una terra conosciuta in tutto il mondo - il Veneto - che continua a rispondere a una sentita vocazione di appartenenza e di identità.
Valori che l’Amministrazione Comunale di Motta di Livenza intende promuovere e salvaguardare attraverso il fine più nobile dell’azione politica ovvero quell’impegno teso a riconoscere, riaffermandole, le numerose testimonianze.
Proprio in tale contesto la Città ha promosso, negli ultimi anni, il lodevole recupero conservativo del Castello della Motta, delle Ex Prigioni e di Palazzo La Loggia. Progetto che ha permesso di cogliere un’importante opportunità di rilancio culturale ed artistico. Questi tre importanti spazi si delineano sempre più come punti di riferimento di un continuativo discorso di pertinenza dal quale poi nasce, attraverso un dibattito stimolante, il fermento vitale che è alla base di ogni progresso, anche economico.
La collettiva “Artisti triVeneti a Motta”, frutto dell’iniziativa dell’Associazione Tant’Arte, si inserisce a pieno titolo in questo programma. Una ricerca tra le principali attività espressive del nostro territorio, tra i protagonisti oramai consolidati e i nuovi talenti da valorizzare, per poter offrire al pubblico le migliori proposte. Un’accorta selezione è stata chiamata a rappresentare la creatività contemporanea, favorendo così uno sguardo sulla qualità comunicativa ed emozionale che oggi il nostro territorio è in grado di rappresentare. Un’iniziativa che costituisce, sia uno spunto di complessa riflessione sia un’operazione di interesse critico correlata a questo particolare momento storico di profondo disagio generale.
Con “Artisti triVeneti a Motta” si apre un’esposizione di primo piano sul contemporaneo. Valore aggiunto e prestigio alle politiche culturali della nostra Città.
I territori del Triveneto, seppur con sensibili distinzioni e peculiarità locali, sono stati per secoli attraversati da quella “venezianità” del tratto pittorico che la storia dell’arte ha convenzionalmente messo in contrapposizione alle scuole del Centro Italia. Il cosiddetto stile “pittorico” della scuola veneta è stato posto in antitesi a quello “scultoreo”: se nel primo l’elemento centrale è il colore che diventa creatore della forma, per il secondo la luce viene applicata ad elementi già definiti. Come sottolineato dallo storico dell’arte E. H. Gombrich proprio «l’atmosfera lagunare, che sembra sfumare i contorni troppo netti delle cose e fondere il colore in una luminosità diffusa, può aver insegnato ai pittori di quella città a usare il colore con maggiore consapevolezza»1. La tradizione veneta, fondata su un peculiare uso del colore e degli elementi tonali, iniziata nel XIV secolo, ha perdurato fino all’Ottocento: da Bellini a Giorgione, passando per Cima da Conegliano, Tiziano, Lotto, Sebastiano del Piombo, Basano, Veronese, Tintoretto, Tiepolo e Guardi fino al Molmenti e ai suoi allievi. Questa concezione della pittura ha in parte lambito anche il Novecento, tanto che si può rinvenirne l’eco in alcune delle principali tendenze, come il versante veneto dello Spazialismo. Il movimento promosso da Lucio Fontana nel secondo dopoguerra, pur muovendosi in un clima di grande innovazione formale che rivendicava connessioni con i progressi scientifici di allora, era caratterizzato infatti dalla centralità del dato cromatico. Quest’ultimo si declinava ora in astrazione lirica, ora in virulenza gestuale, sempre all’insegna di una continuità con la tradizione pittorica lagunare.
Dal punto di vista iconografico è possibile invece rinvenire la ricorrenza del paesaggio. La Tempesta di Giorgione - se si accetta l’esegesi secondo cui non vi sarebbe un vero fulcro tematico nel dipinto - può essere vista come uno dei primi esempi di paesaggio “puro”, ossia di uno scenario che non è il centro di uno svolgimento narrativo, ma che, al contrario, si fa strumento per l’evocazione. Da allora il paesaggio è stato ampiamente trattato dall’arte: basti pensare al vedutismo, al realismo dell’Ottocento fino ai movimenti della modernità. Anche ammettendo che persista una traccia latente di questi caratteri nelle ricerche degli autori contemporanei del Triveneto, la prospettiva del discorso va gradualmente mutata, ragionando sulle trasformazioni culturali avvenute nel XX secolo. Le avanguardie storiche hanno messo in crisi i fondamenti che avevano sorretto la gran parte dello sviluppo dell’arte occidentale; dal primo decennio del Novecento si sono susseguiti una serie di movimenti, correnti e tendenze che hanno radicalmente mutato il linguaggio visivo, destrutturando e successivamente ricostruendo la forma in bilico tra rinnovamenti radicali e “passi di gambero”. Si è assistito insomma ad un alternarsi ciclico di innovazioni contrapposte a “visioni circolari” che, per progredire, citavano valori del passato mettendoli in dialogo con lo spirito del presente. Questi scossoni estetici, sociali e culturali che hanno caratterizzato il ‘secolo breve’ sono evidenti nella militanza teorica di alcuni loro protagonisti o nella visione dogmatica di una parte della critica, attenta a cercare il carattere estetico dominante. Questa progressione nelle conquiste teoriche si è sviluppata in modo coerente fino alla fine degli anni Ottanta, l’ultimo decennio in cui si è potuto assistere ad una sistematizzazione della conoscenza artistica. Dagli anni Novanta e, soprattutto, dopo il Duemila, l’arte contemporanea ha invece adottato uno statuto ibrido, fondato sulla varietà di mezzi espressivi, sulla pluralità di tematiche affrontate e sulla dissonanza formale, nel tentativo di cogliere le istanze del presente che risultano incoercibili alla storicizzazione lineare dei fenomeni in corso praticata nei decenni precedenti. Se guardiano la vivacità del panorama contemporaneo dei territori del Nord-Est, è necessario muoversi su un doppio binario: da un lato ricordare tutti quei tratti distintivi che hanno caratterizzato una tradizione secolare, ma dall’altro pensare ad un fenomeno artistico inteso come sommatoria di percorsi espressivi differenti, per i quali le “grammatiche” formali risultano insufficienti a creare delle letture corali e uniformi. Proprio nelle differenze estetiche e nei paradigmi rivali, che mettono in crisi il concetto di identità, sta la vera linfa creativa del panorama contemporaneo del Triveneto, che sempre più va letto in senso plurale per tentare di comprenderne le suggestioni e le riflessioni universali.
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